I prigionieri evasero da quel vero e proprio lager in una fiumana di oltre 5000 internati civili e confinati politici. Di essi la maggior parte prese la via del nord nel tentativo di raggiungere il proprio luogo di provenienza, la Jugoslavia.
Altri preferirono combattere sul posto e si diressero verso le limitrofe zone marchigiane unendosi alla Resistenza italiana.
Era il 14 settembre 1943 e quel vero e proprio lager era il campo di concentramento fascista n. 97 di Renicci, in riva al Tevere in località Motina a poco più di quattro chilometri e mezzo da Anghiari.
Ecco di questi slavi, evasi, fuggiti o liberati, entrati nelle fila delle nostre brigate partigiane appenniniche mi è sempre interessato molto sin dalla prima volta, in cui mi sono interrogata sul perchè la sezione ANPI di Perugia fosse intitolata oltre che a Bonfigli a Milan Tomovic.
La lotta per la libertà non ha avuto confini, nè esclusività di genere o nazionalità. Non bisogna mai smettere di ricordarlo.
Ieri, 25 aprile 2018, ho deciso di rendere omaggio a questi partigiani slavi della nostra Resistenza, ho deciso di far conoscere alle mie figlie e ai miei figli questa vicenda spesso, troppo spesso, ignorata.
La prima notizia di confinamenti di cittadini sloveni risale al 25 aprile 1941. Le autorità italiane della provincia di Lubiana pensarono a inviare al confino di polizia coloro che erano sospettati di poter nuocere all'Italia fascista. Nulla di nuovo sotto il sole...
La lotta antiribelli si fece presto sempre più dura.
11 settembre 1941 entra in vigore l'ordinanza Grazioli, provvedimenti per la tutela dell'ordine pubblico. Oltre al confino si introduce la pena di morte irrogata da speciali tribunali da eseguire in 24 ore.
24 ottobre 1941 Mussolini estende il reato di propaganda e manifestazioni pubbliche ai tribunali di guerra e istituisce un tribunale speciale presso il governatore di Dalmazia, il 7 novembre lo istituisce anche a Lubiana.
Nel marzo 1942 Mussolini impartisce la Circolare 3C, iniziano i rastrellamenti e gli internamenti di massa.
Verso la metà di marzo...si stende il filo spinato e si allestisce il primo campo di concentramento di Gonars in Friuli.
Sarà pieno in poche settimane.
Ecco come e perchè si arriva all'istituzione di Renicci nell'agosto 1942.
Nel nostro comprensorio umbro-toscano c'erano campi a Renicci, Colfiorito, Tavernelle, Pietrafitta, Ellera e Castelsereni.
Ieri, pertanto, col desiderio di scoprire da soli questa storia, ci siamo diretti ad Anghiari. Qui abbiamo cercato la vecchia stazione ferroviaria, ora dismessa, e ci siamo incamminati a piedi sulla strada provinciale che conduce a Caprese Michelangelo, percorrendo lo stesso tragitto su cui dall'agosto 1942 al settembre 1943 venivano incolonnati i prigionieri politici, internati, confinati e anarchici diretti al campo di concentramento fascista di Renicci.
Davanti alla vecchia stazione, sul luogo dove dovevano esserci i binari ho avviato la mia narrazione. Nei giorni precedenti mi sono procurata un testo di riferimento e sono entrata così nella storia. Si tratta di uno studio storico intitolato La vita quotidiana di un campo di concentramento fascista - Ribelli sloveni nel querceto di Renicci - Anghiari (Arezzo) scritto da Daniele Finzi, edito da Carocci.
La prima immagine che sono riuscita ad evocare è quella di questi prigionieri ammucchiati nelle tradotte. Provenivano via Padova, Bologna, Firenze, Arezzo; giunti ad Arezzo venivano dirottati sulla appenninica Arezzo Sansepolcro Fossato di Vico fino alla stazione di Anghiari.
La gente del posto ricorda che in alcuni tratti molto in salita, il trenino rallentava così tanto che i prigionieri sarebbero potuti saltare giù se non fosse che i sorveglianti ai finestrini mettevano rami spinosi di rovo per impedirglielo.
Si racconta che i ragazzini del paese di Anghiari si buttassero giù per la discesa di corsa ogni volta che sentissero provenire il treno e che accompagnassero questi uomini stanchi e provati per un pezzetto di strada, fino al ponte dei Sospiri.
Partiamo quindi anche noi, fra gli insulti di qualche bieco automobilista, siamo 6 camminatori incolonnati e disciplinati ben avvezzi a destreggiarci sul bordo della strada come mucche o muli sia in ambiente urbano che montano, tanto non basta a risparmiarci.
Io immaginavo di poter leggere dei passaggi del libro, far vedere immagini lungo il cammino, ma mi sono dovuta presto rendere conto che era impossibile anche per il rumore delle auto. Ho deciso quindi di fare delle piccole soste narrative, anche se la lunghezza del tragitto non lo avrebbe richiesto, ma la curiosità sì.
La giornata era splendente di sole, la vallata nel suo massimo rigore di verde, e noi stavamo lì a popolare la strada di domande.
Perchè proprio qui?
Renicci prima era un campo estivo di addestramento militare, poi nell'autunno del 41 cominciarono i lavori per la trasformazione in campo di concentramento.
La scelta non fu casuale:
l'area era vasta con possibilità di ampliamento, c'erano acqua e luce grazie alla vicina centrale elettrica di Montedoglio, una strada comoda, era già segnalato nelle carte militari, era ricoperto da querce secolari che lo nascondevano e proteggevano.
I lavori del campo furono assegnati all'ingegnere Berni, che a Sansepolcro aveva già in corso il cantiere per la costruzione del nuovo pastificio Buitoni.
Le prime semplici opere furono quelle dell'abbattimento di qualche quercia, la posa della prima recinzione di filo spinato e la costruzione delle torrette di guardia. Poi i lavori rallentarono per la mancanza di manodopera e per le avverse condizioni meteo, ma in primavera seguirono ordini di accelerare le operazioni.
Per la manodopera Berni impiegò circa 200 uomini.
Dopo questa prima sosta abbiamo ripreso il cammino cercando di individuare alcuni elementi paesaggistici. La collina di Montedoglio è di facile riconoscimento, adesso è tappata dall'omonima diga sul Tevere e non ci si sbaglia.
Nel 43, quando il campo fu dismesso la diga non c'era, il valico non era allagato, molti internati svalicarono via e scomparvero verso Montedoglio. Era la via per raggiungere l'appennino marchigiano.
Sceglievano la montagna quasi per istinto, forse perchè stranieri, forse perchè abituati alle zone pedemontane. Cercavano di raggiungere il mare e finivano per unirsi ai combattenti partigiani italiani.
Il loro fu un contributo molto significativo, non di poco conto.
Nel frattempo eravamo giunti all'altezza di Micciano scorgendo la pieve sulla destra. Sarebbe stato interessante fermarsi...ma non eravamo lì per questo, avevamo desiderio di arrivare al giardino della memoria, non avevamo aspettative di trovare niente, null'altro che storie da rimembrare.
Così siamo arrivati a Motina, un piccolo abitato sulla strada per Caprese Michelangelo.
Ieri, 25 aprile a Motina, la gente onorava la festa.
Chi era vestito per bene, chi indossava abiti da lavoro, chi sembrava essere appena sceso dal bosco o rientrato dal campo, chi appena buttato giù dal letto. Vita rurale dei nostri tempi.
Noi eravamo estranei in quel quadro, vestiti strani, con questi orribili indumenti tecnici da escursionisti fissati...avranno pensato che eravamo stranieri.
Siamo entrati al bar. Ho sperato fra me e me di non riconoscere qualcuno degli automobilisti di prima...
Ho chiesto informazioni solo per far capire che eravamo umani, io lo sapevo dove era il bivio per Renicci, ma ho sentito il bisogno di parlare, di far capire che eravamo venuti in pace.
Volevo attaccare bottone, speravo di incontrare qualcuno attorno a queste case vicino all'ex-campo, qualche anziano che mi dicesse che lui aveva 10 anni quando...
Sono disponibile, siamo qui per questo, forza fatevi sotto, uscite fuori! Pensavo.
Solo bambini che giocavano.
Ma una vecchia l'ho intravista, seduta al sole fuori casa, l'ho puntata, l'ho salutata...mi ha dileguato con un cenno della testa dal basso all'alto, da sinistra a destra a indicare che eravamo arrivati, che era di là.
Quel gesto ha detto più di mille parole. Una specie di vergogna.
Renicci oggi e' un piccolo giardino monumentale evocativo.
Una bandiera della pace sbrindellata si agita al vento in cima alla riproduzione di una torretta. Poveraccia, deve fare tutto lei.
Le querce sono le testimoni viventi di quanto è accaduto.
Le ho ascoltate frusciare.
Le ho viste filtrare il sole potente di mezzogiorno.
Quattro cinque belle grasse galline ci hanno fatto da comitato di accoglienza.
Eccoli i miei figli schierati seduti davanti a me, orecchie aperte, bocche piene perchè li posso portare anche in capo al mondo purchè all'arrivo ci sia un panino.
Faccio un giro della piccola area e poi parto con la descrizione della planimetria del campo, i 3 settori, i locali di comando, i locali di servizio. Le tipologie costruttive, le dimensioni, la capienza, le presenze, la descrizione del regime alimentare a carattere repressivo.
La misura ... è colma.
Al "Sentinella all'erta", "All'erta sto" ripetuto per ciascuna delle 24 torrette di controllo, non ci potevano credere.
Poi è venuto il momento del Comandante Pistone e una serie di singoli aneddoti che ho pescato dal capitolo "Il campo nella memoria locale".
E abbiamo fatto anche un pò di teatro perchè così hanno veramente capito.
E soprattutto abbiamo parlato di cosa è accaduto dopo l'apertura del campo nel settembre 1943.
Tornando indietro il passo si è fatto veloce, i pensieri più leggeri, il sole si è fatto sentire, i colori della natura tutti dischiusi.
Questi 9000 internati in un anno a Renicci li abbiamo portati tutti fuori dal filo spinato, un'altra volta ancora. Ora e sempre.