Sabato 25 gennaio ho partecipato a San Giustino, nelle sale del Museo Scientifico del Tabacco, ad un incontro organizzato dall'ANPI di San Giustino-Citerna sui CAMPI fascisti di CONCENTRAMENTO e di LAVORO in UMBRIA.
All'incontro erano presenti testimoni e storici: Maria Pizzoni, presidente ANED regionale (Associazione Nazionale Ex Deportati nei Lager Nazisti), Francesco Innamorati, partigiano, presidente ANPI provinciale, Tommaso Rossi, ricercatore ISUC ( Istituto per la Storia Umbra Contemporanea) Dino Renato Nardelli storico.
Nella sala che ospitava l'iniziativa, si trovava allestita anche una mostra con ricca documentazione riguardante la storia di due campi di concentramento locali: Ruscio, campo per prigionieri di guerra addetti al lavoro nelle miniere di estrazione della lignite presso Monteleone di Spoleto e Renicci, vicino ad Anghiari, campo fascista di concentramento per civili jugoslavi.
Il fenomeno della presenza di deportati slavi e montenegrini nelle file della resistenza italiana lungo l'Appennino Umbro-Marchigiano è correlato alla presenza nella nostra regione e immediate vicinanze dei campi fascisti per deportati dal regno di jugoslavia occupato nel 41 dall'Italia. Dopo l'8 settembre 43, evasi, fuggiti, liberati dai campi, questi deportati nella maggior parte entrarono a far parte delle brigate partigiane locali: la Brigata Pio Borri nell'Aretino dove diedero vita al battaglione Dusan, la Brigata proletaria d'urto San Faustino in Alta Valle del Tevere e la 5° Brigata Garibaldi Pesaro dove diedero vita al Battaglione Stalingrado. Uniti contro lo stesso oppressore, senza indugi e diffidenze, si allearono con coloro che fino al giorno precedente erano stati i loro conquistatori, consapevoli di affrontare, insieme agli italiani, una tappa fondamentale nella liberazione dal nazi-fascismo.
Così la mostra ci ha introdotto l'argomento, e poi è iniziata la conferenza.
Mari Franceschini, presidente dell'ANPI San Giustino, ha iniziato il suo intervento parlando dell'istituzione, dal 40 al 45, dei campi fascisti di repressione e internamento per categorie pericolose: prigionieri di guerra, in particolare sloveni, montenegrini, croati, ma anche civili rastrellati, stranieri e italiani oppositori politici, sospetti, gente al confino preventivo, punitivo nei confronti di chiunque avesse comportamenti sconvenienti o immorali.
Francesco Innamorati, partigiano, presidente dell'ANPI provinciale ha tenuto a precisare la fratellanza di sangue fra la resistenza italiana e quella jugoslava. Ha riportato il dato presente nella storia del fascismo di Renzo de Felice circa la assoluta preminenza umbra in fatto di numero di partigiani e ha raccontato la storia di Milan Tomovic cui è dedicata la sezione ANPI di Perugia.
Nella primavera del 1942 Milan viene arrestato in Montenegro e tradotto prima in un campo albanese, poi in Italia, nel campo di Colfiorito. Fugge dal campo il 22 settembre insieme agli altri internati montenegrini e si nasconde a Foligno protetto da una suora antifascista e antinazista. Qui entra in contatto con un gruppo partigiano di Spello di cui diviene presto il comandante, che opererà nella zona del Subasio e lungo la Statale 75, da Foligno ad Assisi. Innamorati e, successivamente anche Pizzoni, precisano che i giovani partigiani italiani non erano abituati alla guerriglia, erano inesperti e riceveranno da Tomovic e dai suoi compagni un vero e proprio addestramento. A fine dicembre 1943 Tomovic viene ricoverato per tubercolosi, malattia che già sapeva di avere ma che teneva nascosta per paura che questa fosse vista, dagli altri partigiani, come un impedimento a combattere. Verso la prima metà di giugno 1944, pochi giorni prima che giungessero gli Alleati a liberare Foligno e Spello, il Comandante con la sua brigata stava preparando un piano per liberare, dal campo di concentramento di Campello, i civili italiani catturati durante i vari rastrellamenti e pronti per essere deportati in Germania. Il piano non viene portato a termine per il sopraggiungere di una crisi cardiaca. Lo porteranno, clandestinamente, prima all’ospedale di Foligno e poi a quello di Perugia, dove morirà, nel padiglione del professore Riccitelli che lo stava ospitando e proteggendo sotto falso nome.Viene sepolto nel cimitero di Perugia, successivamente le sue ossa vengono portate nell’ossario comune di San Sepolcro. (1)
Innamorati ha ricordato inoltre che anche gli italiani passarono nelle file della Resistenza jugoslava unendosi all’armata dei partigiani di Tito. Furono oltre 40 mila che, sopravvissuti ai massacri e non cedendo alle intimazioni di resa da parte dei tedeschi dopo l’8 settembre, si unirono ai partigiani jugoslavi, combattendo in Montenegro e in tutte le altre regioni del paese, dando prova di valore e conquistandosi la fiducia, l’affetto dei compagni d’arme e delle popolazioni locali. Ventimila di essi caddero, riscattando con il sangue – non è retorica il dirlo – le infamie dell’aggressione e della repressione fascista.
Poi è stata la volta di Dino Nardelli che ha inquadrato il fenomeno a livello storico riportando i fatti al progetto mussoliniano di controllo dell'Adriatico e quindi alla conquista della jugoslavia e ai vari accadimenti svoltisi dal 41 al 43 compresi i rastrellamenti di Lubiana nel 42 e l'occupazione italiana del Montenegro da cui si generarono i 2 flussi principali di deportati civili verso i campi fascisti italiani della nostra zona: Renicci, Tavernelle, Pissignano, Colfiorito.
Tommaso Rossi, ricercatore dell'Istituto per la Storia dell'Umbria Contemporanea, ha integrato la presentazione dandoci un'idea di come, per molte di queste persone, si è concluso questo viaggio: dal campo, alla resistenza in Italia, al disarmo prima del rimpatrio, al riarmo nei pressi di Bari, fino alla partecipazione alla resistenza nelle proprie terre. Alcuni, entrati in Italia come prigionieri, ce li ritroveremo al mattino del 1 maggio 1945 in piazza a Trieste, fra le fila delle prime avanguardie partigiane titine, ma questa è ancora un'altra storia.
Al termine dell'incontro, Maria Pizzoni, presidente ANED regionale, ha voluto sottolineare l'importanza di parlare di questi accadimenti alle giovani generazioni. Ha puntualizzato con fresca memoria alcuni particolari di cui è stata testimone circa i fatti che si sono svolti dopo l'8 settembre 43 nella sua zona di Foligno e ha constatato la preoccupante ignoranza di molti adulti al riguardo.
Gli incontri dei testimoni con i ragazzi nelle scuole e le occasioni di approfondimenti sui temi della deportazione offerti ai docenti rimangono pertanto il migliore strumento per ricordare e per prevenire l'insorgere di nuovi fascismi, populismi e vari genere di razzismi.
Io, presto, mi metterò di nuovo in cammino sulle tracce dei luoghi della deportazione e della resistenza in Umbria, nella speranza che anche semplici e piccole escursioni fatte con i bambini servino a recuperare pezzi di identità. Al prossimo post!
(1) biografia di Milan Tomovic ricostruita con l'aiuto di http://anpiperugia.noblogs.org/post/2010/11/27/milan-tomovic/
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